Airfix

Fairey Swordfish Mk I

Scala 1/72

n° Cat. A04053A

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Una piccola premessa...

Cominciamo con il dire che il kit in oggetto non è recentissimo: risale al 2012 ma nel 2017 l'Airfix lo ha "reboxato" proponendolo con nuove decal e che descriveremo dettagliatamente nella sezione modellistica sotto.

Come di consueto, però, prima di descrivere il kit, ci è gradito scrivere qualche nota storica che il modellista "puro" o semplicemente poco interessato potrà, se vuole, saltare a piè pari. Crediamo però di suscitare un minimo di interesse anche con queste poche parole che aiutano a collocare questo antiquato aero-silurante nel contesto storico in cui si trovò ad operare.  

Un Biplano dalla "spada" molto affilata...

Per chi fosse interessato a una dettagliata descrizione del famigerato biplano inglese, il mio consiglio è di leggere Wikipedia, sempre molto attendibile e ricca di notizie storiche. Per chi ne avesse voglia, può cliccare qui

In questa sede ci limiteremo a ricordare alcuni tragici momenti della "guerra sul mare Mediterraneo" tra la Regia Marina e la Royal Navy.

 

L'Italia non disponeva di aerosiluranti.

Alla dichiarazione di guerra tra l'Italia, la Francia e l'Inghilterra, il 10 giugno 1940, nè la Regia Aeronautica nè la Regia Marina disponevano di aerosiluranti. L'intercettazione aerea di navi in mare era realizzata con i bombardieri che effettuavano lanci di bombe in quota per sfuggire alla contraerea; visto i deludenti risultati, nelle "alte sfere" si resero rapidamente conto di quali fossero le difficoltà di colpire un bersaglio in movimento da un'altitudine superiore ai 2.000 - 3.000 metri.

Lo Stato Maggiore dell'aeronautica cercò di correre ai ripari istituendo a Gorizia il primo Reparto Speciale Aerosiluranti, composto da 5 Savoia Marchetti SM 79. Il "Gobbo maledetto", come affettuosamente era soprannominato dai suoi piloti, aveva infatti mostrato, fin dal 1937, una notevole predisposizione per il siluramento a bassa quota e, di fatto, per tutta la durata del conflitto, fu l'unico aereo validamente utilizzato per tale compito. 

L'Inghilterra aveva invece, già dai primi anni '30, una considerevole forza di aerosiluranti inquadrati nella Fleet Air Army, ovvero l'aviazione della Marina inglese, la Royal Navy. Tale forza era inizialmente composta da biplani piuttosto lenti come il Blackburn Shark che nel corso del 1936/37 furono sostituiti dal Fairey Swordfish che, alla loro entrata in servizio, erano già obsoleti, ma si rivelarono altamente distruttivi per la nostra Marina nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1940...  Una versione ammodernata dello Swordfish doveva essere il Fairey Albacore, anch'esso biplano ma con abitacolo chiuso a differenza dello Swordfish.  Rispetto a quest'ultimo, l'Albacore era meno manovrabile e quindi si limitò ad affiancare ma non a sostituire il suo predecessore con i suoi 800 esemplari costruiti.

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Nelle 3 foto sopra sono messi a confronto il Blackburn Shark (a sinistra), il Fairey Swordfish (nella versione Mk III), utilizzato anche come bombardiere) e il Fairey Albacore (con abitacolo chiuso). Agli inizi del secondo conflitto mondiale tutti e tre i velivoli erano decisamente superati, ma ancora capaci di fare danni con i loro siluri. 

La battaglia di Punta Stilo, la Notte di Taranto, Capo Teulada e Capo Matapan.

 

Nel titolo ho citato 4 episodi della guerra sul mare Mediterraneo, che hanno avuto come protagonista la nostra Marina Militare durante il secondo conflitto mondiale. Il primo episodio, che costituisce tuttora il più grande scontro navale della storia nel Mar Mediterraneo per il numero di unità che vi presero parte, avvenne il 9 luglio 1940, a quindi un mese (meno un giorno) dalla dichiarazione di guerra dell'Italia. Quella battaglia fu un'occasione mancata per la Regia Marina di conquistare (sebbene forse per breve periodo) il controllo del Mare Mediterraneo Sud Orientale, che avrebbe permesso alle Forze dell'Asse di assicurare una rotta sicura di rifornimenti per la Libia. Tale scontro, che si risolse in un nutrito ma poco efficace scambio di cannonate tra le formazioni italiana e inglese al gran completo, poteva costituire invece un grande successo se ci fosse stata più coordinazione tra la Flotta Italiana e la Regia Aeronautica, che invece intervenne in ritardo e rischiò anche di colpire (sempre a causa degli assurdi bombardamenti da alta quota) le nostre navi. I cinegiornali dell'epoca cercarono di far passare la "scaramuccia" di Punta Stilo come una brillante vittoria della Marina Italiana; la guerra era ancora agli inizi e la popolazione non era ancora tristemente edotta dalle conseguenze di un conflitto che l'italia affrontava assolutamente impreparata, su tutti i fronti. La Royal Fleet invece si avvalse sia degli aerosiluranti Swordfish, in questa occasione fortunatamente poco efficaci, sia dell'appoggio nella ricognizione aerea di quel gigante anfibio che fu lo Short Sunderland, capace di rimanere in volo per 20 ore.

Il secondo episodio, avvenuto nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1940, dimostrò la totale inadeguatezza delle difese antisiluramento e contraeree della base navale di Taranto e che costò molto caro al nostro naviglio da guerra, con la perdita della corazzata Conte di Cavour e con gravi danni alle recentissime navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto, varate nell'agosto 1940, alla nave da battaglia Caio Duilio, all'incrociatore Trento e a i cacciatorpediniere Libeccio e Pessagno, oltre ai depositi di carburante e a diverse attrezzature costiere. L'incursione aerea nella baia di Taranto "fece scuola" per l'attacco che sarà inferto dai giapponesi a Pearl Harbour, che presentava caratteristiche di bassi fondali molto simili a quelle tarantine. ​A Capo Teulada, il 27 novembre 1940 la Regia Marina cercò, con scarsi risultati, di fermare 2 convogli inglesi diretti a Malta, per la prima volta in navigazione nel Mediterraneo, scortati da diverse unità della Royal Navy, tra le quali la portaerei Ark Royal.

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Nella foto a sinistra, si vede parte della Flotta italiana in navigazione verso Punta Stilo, con gli incrociatori pesanti Bolzano, Trento, Zara, Pola, Fiume e Gorizia. La Regia Marina, nel luglio 1940, costituiva la forza meglio armata ed equipaggiata dello schieramento italiano in cielo, in mare e in terra; ma ha sempre sofferto della mancanza di appoggio da parte della Regia Aeronautica che, inoltre, come scritto sopra, utilizzava tecniche di bombardamento (da alta quota) assolutamente inadatte all'impiego sul mare. 

L'altra carenza, ovvero la mancanza del radar, si manifestò purtroppo in tutta la sua gravità nella battaglia di Capo Matapan (28/29 marzo 1941). In verità, gli studi sul radar o radiotelemetro come era definito in Italia, grazie a Guglielmo Marconi, erano già in uno stadio avanzato, ma i vertici militari italiani non credettero in questa nuova tecnologia e la sperimentazione continuò con poche risorse grazie al professor ing. Ugo Tiberio, allievo di Guglielmo Marconi, che installò, sul terrazzo di un palazzo di Livorno, il suo "Gufo", ovvero l'apparecchiatura Radar EC3/ter, con portata di 12 km per le navi e 30 km per gli aerei. Dopo la disfatta di Capo Matapan, si cercò di correre ai ripari stanzando più fondi al progetto ma in Italia non esistevano industrie così tecnologicamente avanzate in grado di produrre le apparecchiature elettroniche necessarie e quindi i primi dispositivi non furono disponibili che nel 1943, grazie alla fornitura di valvole termoioniche di potenza da parte della Germania alla fine del 1942, quando era ormai troppo tardi. Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento del radar italiano, può cliccare qui.

Nella foto di destra, è visibile la nave da battaglia Conte di Cavour, gravemente danneggiata dai siluri inglesi e adagiata sul basso fondale della rada di Taranto. 

La Regia Marina perde il controllo del Mediterraneo a capo Matapan.

L'ammiraglio tedesco Raeder, durante la confererenza navale di Merano tenutasi il 13 e il 14 febbraio 1941, aveva accusato Supermarina, lo Stato Maggiore della Regia Marina, di inattività e di tenere un atteggiamento troppo prudente e solo difensivo nei confronti della Royal Navy, che poteva quasi agire indisturbata nelle rotte di rifornimento per Malta e l'Egitto. La Luftwaffe, a seguito di varie ricognizioni aeree nel Mediterraneo Orientale, aveva trasmesso un dispaccio ai Comandi dell'Asse nel quale si comunicava che la Royal Navy in quell'area disponeva di una sola corazzata (la Valiant) e quindi era in condizioni di inferiorità rispetto ad un attacco in forze. Dopo vari tentennamenti, Supermarina si decise il 23 marzo 1941 per una vasta operazione navale da compiersi in prossimità dell'isola di Creta e più precisamente al largo dell'isola di Gaudo, per colpire un convoglio inglese di rifornimenti che era stato individuato a seguito della decrittazione di alcuni dispacci della Royal Navy e quindi sfruttando l'effetto sorpresa. Il comando delle operazioni fu affidato all'Ammiraglio Iachino, comandante della Flotta Italiana, che però chiese l'appoggio dell'aviazione per avere maggiori possibilità di successo. Gli aerei italiani di stanza a Còmiso in Sicilia e a Rodi non disponevano dell'autonomia sufficiente ad assicurare la scorta al convoglio, tranne per una squadriglia di bombardieri Cant 1007 che però, senza scorta di caccia, sarebbero stati alla mercè di un eventuale attacco aereo da parte inglese. Si decise allora di coordinare l'azione con il X Fliegerkorps della Luftwaffe di stanza in Sicilia, forte di circa 200 bombardieri e 70 caccia. Poichè era la prima volta che la Regia Marina e la Luftwaffe dovevano operare insieme, si decise di effettuare alcune prove di comunicazioni in codice per coordinare le operazioni aero-navali quando la Flotta avrebbe attraversato lo Stretto di Messina. Una notevole formazione navale, con al comando l'ammiraglio Iachino a bordo della Nave da Battaglia Vittorio Veneto, partita da Napoli alle 21.30 del 26 marzo 1941 per non essere individuata, si ricongiunse presso le coste siciliane con il resto della flotta proveniente da Taranto e da Messina per dirigersi verso le coste greche. All'appuntamento presso lo Stretto di Messina, le condizioni meteo erano nel frattempo peggiorate e una nebbia impedì agli aerei tedeschi di prendere contatto con la formazione italiana. Dalla Vittorio Veneto si scorse solo la squadriglia di Cant 1007 in volo che aveva cercato anch'essa le navi italiane ma senza successo e e volava su una rotta opposta. Iachino, contattata SuperMarina, ricevette l'ordine di proseguire la rotta stabilita. Durante la navigazione nel mar Ionio, parte della Flotta italiana fu avvistata da un idrovolante inglese Short Sunderland che, però, nel suo dispaccio, intercettato dagli italiani, aveva comunicato ciò che aveva visto, ovvero solo "3 incrociatori e un cacciatorpediniere". Poichè l'effetto sorpresa non era del tutto sfumato, l'ammiraglio Iachino decise di proseguire verso la destinazione programmata. Iachino non aveva però chiara la formazione del nemico, che disponeva di 3 corazzate, la Warspite (la nave ammiraglia con a bordo l'Ammiraglio Cunningham), la Valiant e la Barham, di una portaerei (la Formidable) e di un consistente naviglio di scorta. Nella mattina del 28 marzo 1941, le due formazioni avversarie si affrontarono a colpi di cannonate, senza però esito dalle due parti, anche grazie alla fitta coltre di fumo generata dai cacciatorpediniere di scorta di entrambe le formazioni navali. I cannoni della Vittorio Veneto avevano una gittata superiore alle pari classi inglesi (quasi 40 km) ma erano poco precisi a quella distanza. Cunningham fece decollare dalla Formidable una formazione di Fairey Albacore per colpire la Vittorio Veneto, ma i siluri furono lanciati da una distanza eccessiva a causa del fuoco contraereo attivato seppure in ritardo (inizialmente gli Albacore erano stati scambiati per Fiat CR 42...) e non colpirono il bersaglio. 

L'ammiraglio Iachino, visto che non era stato intercettato alcun convoglio mercantile e che le unità più piccole segnalavano scarsità di nafta, decise di invertire la rotta e di tornare verso i porti italiani.

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Nelle 2 foto a sinistra sono messe a confronto le due "ammiraglie" Vittorio Veneto della Regia Marina e la Warspite della Royal Navy. La Vittorio Veneto era una nave modernissima per i tempi ed era entrata in servizio da pochi mesi. La Warspite aveva avuto il varo il 13 novembre 1913 ma era stata notevolmente rimodernata dal 1934 al 1937, anche con l'installazione di un hangar per aerei. Durante lo scontro di Capo Matapan, nessuna delle due ammiraglie era dotata di radar, che invece erano presenti su due incrociatori leggeri inglesi, l'Aiax e l'Orion e sulla corazzata Valiant. L'utilizzo del radar fu determinante nell'individuazione notturna e nel conseguente affondamento delle navi italiane presso Capo Matapan.

Nella foto sopra è visibile l'Ammiraglio di Squadra Angelo Iachino, comandante della Flotta Italiana. L'alto ufficiale non disponeva della autonomia decisionale che era invece concessa al suo pari grado inglese, l'Ammiraglio Cunningham, in quanto ogni decisione doveva provenire da SuperMarina.

La "ritirata" della flotta italiana fu però disordinata e contraddittoria, anche a causa delle informazioni frammentarie e imprecise che giungevano da SuperMarina. A conseguenza di ciò, la Vittorio Veneto fu silurata a poppa da uno Swordfish e potè riprendere la navigazione a soli 15 nodi. Un altro Swordfish decollato da Creta era riuscito, nonostante il sole fosse ormai tramontato, a silurare l'incrociatore Pola, che si era immobilizzato. L'ammiraglio Iachino ordinò quindi al suo diretto riporto, l'ammiraglio Cattaneo, di invertire la rotta e di raggiungere il Pola con gli incrociatori Zara e Fiume, scortati da 4 cacciatorpediniere.

Le navi inglesi avevano però già raggiunto il Pola, scambiandolo per la Vittorio Veneto che si sapeva colpita e si preparavano a cannoneggiarla per affondarla. Nel frattempo arrivò anche la squadra italiana, che navigava con i cannoni in posizione di riposo, in quanto le nostre navi non erano attrezzate per il combattimento notturno. L'ammiraglio Cunningham fece quindi puntare, grazie al radar, tutti i grossi calibri sulle navi italiane che non ebbero scampo: lo Zara e il Fiume furono distrutti quasi subito in soli 4 minuti di cannoneggiamento inglese e poche ore dopo furono affondati anche i quattro cacciatorpediniere di scorta. Successivamente, dopo aver tratto in salvo i marinai del Pola, gli inglesi affondarono l'incrociatore italiano con un siluro. Si concluse così la battaglia di Capo Matapan con gravissime perdite da parte italiana (circa 3.000 morti). La maggior parte delle perdite tra marinai e ufficiali si ebbero nei 5 giorni seguenti la battaglia, prima che i soccorsi riuscissero a mettere in salvo i superstiti. Da parte inglese, le navi della Royal Navy riportarono solo qualche "scalfittura alla vernice"; le uniche perdite umane che ebbero gli inglesi furono i 3 membri dell'equipaggio di un silurante Albacore colpito dalla contraerea italiana. Dalla battaglia di Capo Matapan, la flotta italiana impegnò sempre meno la Royal Navy e soprattutto mai più senza l'appoggio aereo. La Regia Marina riuscì anche a contrastare, nelle battaglie di mezzo giugno e di mezzo agosto 1942, i convogli britannici di rifornimento dell'isola di Malta, con l'affondamento di alcune unità della Royal Navy (tra le quali la Portaerei Eagle) e navi mercantili, grazie anche ai siluri lanciati dagli SM79, ma tali risultati (insieme alla celebre Incursione di Alessandria d'Egitto della Decima Mas) non riuscirono a compensare le perdite subite.

Un messaggio in bottiglia da Capo Matapan.

Concludo questa sezione "storica" ricordando un episodio commovente. Nel 1952, a quindi 11 anni di distanza da quella battaglia, fu ritrovata sulla spiaggia di Villasimius, in Sardegna, una bottiglia tappata da uno strato di cera, contenente un rotolo di carta. Era l'ultimo messaggio scritto dal marinaio Francesco Chirico, di Futani (Sa): "Regia Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori – Italia!".

Al marinaio Chirico fu concessa la medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria, con la seguente motivazione: "Prima di scomparire in mare con l’unità, confermava il suo alto spirito militare affidando ai flutti un messaggio di fede e di amor patrio che, dopo undici anni, veniva rinvenuto in costa italiana". Medaglia e lettera furono quindi consegnate alla madre.

Per una trattazione piuttosto completa della Battaglia si può fare riferimento al sempre affidabile Wikipedia, cliccando qui. Su Youtube sono disponibili alcuni documentari, molto ben fatti, senza retorica e assolutamente imparziali, a mio parere. Personalmente consiglio "Operazione Gaudio" della Carlo Cestra Digital Productions​, che può essere visionato all'indirizzo OPERAZIONE GAUDO - Carlo Cestra Digital Productions - YouTube, e il documentario RAI, realizzato da Massimo Sani nel 1983, trasmesso di recente anche da RaiStoria, visibile cliccando qui.

Adesso parliamo di kit?

 

Direi che finalmente è giunto il momento di "tuffarci" nella sezione dedicata al modellismo in scala.

Cominciamo, come al solito, dai "vecchietti" per dedicarci alla più recente realizzazione in casa Airfix, recentissimamente "reboxata" con nuove decal.

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AIRFIX (very) Old Tool (1957) (scala 1/72)

 

Nella foto a destra è visibile la primissima proposta (Series 2) della Ditta inglese di un kit dedicato allo Swordfish, risalente al 1957, "reboxed" nella classica scatola in cartoncino tipico della mia giovinezza (anni '70). Non credo di aver avuto mai tra le mani un kit così vecchio...

Lo Swordfish Airfix "old tool" era composto da 55 pezzi di stirene bianco; se ne poteva ricavare una riproduzione solo sufficiente, anche se il montaggio non era così ostico come i primi kit Airfix. Agli inizi degli anni '80 del secolo scorso è stato tolto dal catalogo e per trent'anni l'Airfix non ha pensato a una sua sostituzione fino al 2012. Chi lo possiede può solo esibirlo a puro titolo collezionistico...

 

Frog Fairey Swordfish Mk I

 

Nella foto a sinistra è visibile (parzialmente per incompatibilità di formato) la proposta Frog risalente al 1973, quindi appartiene all'ultima generazione di kit della scomparsa casa inglese. Lo stirene utilizzato è nel classico stile Frog, di colore blu scuro e piuttosto vetroso ma con poco flash. Le decal erano per due versioni, una prebellica (1939) in alluminio e scarponi (floatplane) e una bellica (1940) della Fleet Air Army con siluro.

L'"engineering" del modello FROG era interessante e il rispetto delle forme era migliore rispetto al vetusto Airfix. Il kit permette un montaggio abbastanza semplice del biplano, anche se l'assemblaggio delle ali per tale tipologia di aerei è sempre una fase delicata e richiede attenzione. Il montaggio della fusoliera non richiede troppo stucco e il risultato finale poteva essere soddisfacente, a patto di dettagliare gli interni (i tre pilotini erano piuttosto brutti) e realizzare la controventatura delle ali. 

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Dopo il fallimento della Frog, gli stampi furono rilevati dalla Novo che si limitò a cambiare la scatola ma riutilizzò la "box art" e gli sprue della Frog. In tempi più recenti il kit è stato riproposto da varie etichette dell'ex Blocco Sovietico: Eastern Express, Ark Models, Donetsk Toy Factory e Cooperativa (un brand della MPM).

A proposito di quest'ultima, segnalo che nella scatola sono presenti anche alcune parti aggiuntive, ovvero un foglio in fotoincisione per gli interni e alcune parti in resina per serbatoio aggiuntivo e scarico notturno. Le proposte per la colorazione sono 2: il classico schema Dark Slate Grey/Dark Sea Grey/Sky (Portaerei Ark Royal, Maggio 1941) e una colorazione tutta nera (Belgio 1945).

 

Matchbox Fairey Swordfish 

Nella foto a destra è visibile la proposta Matchbox risalente al 1974, quindi è solo di un anno successiva alla Frog. Il kit era proposto nel "classico" stampaggio a 3 colori (grigio, verde e bianco/grigio chiaro) che riprendeva con una certa verosimiglianza la mimetica del Fleet Air Army. La qualità del kit è superiore ai suoi due predecessori e, compensando la totale assenza di interni, era possibile ricavare una riproduzione piuttosto fedele dell'originale (a parte il motore). Solo le decal, a distanza di alcuni decenni, appaiono abbastanza scarne anche se stampate in registro.

Mi ricordo un amico di università, Marco, che presentò a una mostra di Modellismo a Napoli una sua riproduzione dello Swordfish che aveva come base il kit Matchbox, arricchendolo di molti dettagli "scratchbuilt" (tra cui appunto l'abitacolo) e meritò un primo premio. Il buon Marco ha continuato a "coltivare" la sua  passione sempre con ottimi risultati, riuscendo anche a gestire, con altri appassionati, un ottimo sito/blog di Modellismo. Per chi fosse interessato a saperne di più su Marco e sul suo sito, può cliccare qui.

Il kit è stato per qualche anno reperibile con il marchio Revell, che ha rilevato molti stampi Matchbox dopo la chiusura del Dipartimento Model Kit.

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Airfix Fairey Swordfish Mk I "new Tool"

 

Come ho accennato all'inizio della pagina, nel 2012 l'Airfix propose la sua nuova versione dello Swordfish Mk I nella serie 4, subito seguita dalla versione Floatplane nella serie 5. Nel 2017 ha riproposto lo stesso kit in serie 4 "reboxandolo" con nuove decal, ma lasciando invariati gli stampi. La versione Floatplane è rimasta invece tal quale.

Aprendo la scatola, si nota subito che questo kit non ha alcunchè in comune con il suo anziano predecessore: 125 parti in styrene grigio chiaro ben stampato, suddivisi in 4 sprue più i trasparenti, con un livello di dettaglio indiscutibilmente alto. Gli interni sono costituiti da una "gabbia" che include le postazioni del pilota e del navigatore che, una volta completata, deve essere incollata all'interno delle semifusoliere. Anche il motore, punto debole dei suoi predecessori, è finalmente ben riprodotto. I timoni di profondità e il timone verticale possono essere montati in posizione "mossa" e le ruote hanno l'effetto peso. Le decal sono per 2 versioni (una è l'immancabile riproduzione di uno dei "siluratori" di Taranto), sono ben stampate e comprendono i (pochi) stencil. E' adeguatamente riprodotto il carico di caduta, che si può scegliere tra il "classico" siluro e le bombe (per queste ultime si poteva fare qualcosa in più in termini di definizione).

Difetti? Le pannellature, come in altri kit della casa inglese e dello stesso periodo sono un po' pesanti per la scala, ma il risultato finale dipende molto dal tipo di smalti utilizzati. Ovviamente sono disponibili in aftermarket kit in fotoincisione per l'arricchimento dei particolari esterni ed interni: un "must" è sostituire il pannello strumenti principale realizzato con una decal ed aggiungere le cinture di sicurezza.

​Faccio un parallelo con la nuovissima produzione Airfix come lo Stuka (di cui, se vi interessa, potete leggere la recensione del kit dedicato al B2/R2 cliccando QUI), dove ho trovato, per la prima volta in un kit Airfix, due seggiolini, uno "standard" per accogliere il pilota e uno con le cinture di sicurezza in rilievo se si vuole rinunciare al pilota. Anche questo è segno di un cambiamento in casa Airfix. Lo Swordfish, che risale a una "generazione" precedente di 5 anni, non ha purtroppo questa finezza e si deve provvedere aftermarket.

Ultima nota: le istruzioni sono rimaste quelle di 5 anni fa, quindi le sequenze di montaggio sono solo in bianco e nero, con le illustrazioni per la mimetica a colori. Nel nuovo "standard" Airfix, anche la parte dedicata al montaggio è (parzialmente) a colori. 

​Per gli amanti del superdettaglio sono disponibili in aftermaket set in fotoincisione e maschere per la verniciatura. Molto completo è il set photoetched della Eduard, già preverniciato e persino "self adhesive". 

Scala 1/48

Continuiamo la trattazione modellistica su questa pagina web parlando dell'unico kit dedicato allo Swordfish (che io conosca) nella "quarter inch scale" e più precisamente del Tamiya 1/48. La prestigiosa casa giapponese ha dedicato in realtà 3 scatole diverse al "Pescespada": la Mk I in versione silurante, La Mk I Floatplane e la Mk II lanciarazzi.

Nella foto a sinistra sono visibili le tre proposte Tamiya dedicate allo Swordfish.

La prima uscita (Mk I silurante) risale al 1999, seguita nel 2000 dalla Mk I Floatplane e nel 2007 dalla Mk II. Il kit (assumendo una base in comune per tutti e tre) è di livello molto elevato, come è tradizione della casa giapponese con le due stellette. Gli interni sono riprodotti in modo eccezionale per la scala ed è possibile ulteriormente arricchirli con un set in fotoincisione proposto (in aftermarket) dalla stessa Tamiya (ma si trovano altri set anche con il marchio Eduard). Ad ogni modo, giusto per sottolineare la precisione profusa nel kit, cito solo che le cinture di sicurezza sono realizzate con le decal. 

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Una volta montato e verniciato (con grande attenzione, ovviamente), il risultato finale è a dir poco eccellente. E' possibile inoltre disporre le ali sia in posizione aperta che chiusa. Stranamente, le ruote non hanno l'effetto peso ma ci si rimedia facilmente con un colpo di "katana" ben assestato (alla maniera dei Samurai, ovviamente...). Un unico appunto si può fare alle decal, in particolare alle versioni prebelliche, che hanno il "blu" della coccarda troppo scuro, tipico delle mimetiche successive. Il costo? Girando su internet, il miglior prezzo che ho trovato è 37,15$ spese di spedizione incluse (su Amazon da un negozio giapponese).

 

Scala 1/32

Nel 2009 la Trumpeter ha lanciato sul mercato modellistico 2 scatole dedicate allo Swordfish in scala 1/32 e precisamente alle versioni Mk I e Mk II.

Nella foto a destra sono visibili le 2 proposte Trumpeter dedicate allo Swordfish in scala 1/32.

Si tratta di un kit di notevole dettaglio e complessita: parliamo di 10 sprue di grandi dimensioni, di colore grigio chiaro, ognuno racchiuso nel suo blister trasparente, per un totale di 190 parti. La scatola fornisce anche uno sprue in metacrilato trasparente che comprende l'intera fusoliera per mostrare il dettaglio in trasparenza (vedi foto). Anche il pannello strumenti è realizzato in metacrilato trasparente e le ruote sono in vinile nero per simulare la gomma. E' presente anche un foglio in fotoincisione per le cinture di sicurezza e alcune strutture delle ali e della fusoliera.

​Anche in questa scala la Eduard propone il suo foglio in fotoincisione di superdettaglio, riservato però al solo completamento degli interni. 

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E' innegabile che la Trumpeter abbia ben studiato il kit Tamiya, di cui questa versione in scala 1/32 sembra quasi un fratello gemello nutrito ad estrogeni... Il modello, una volta montato, misura 344 mm di lunghezza e 433 mm di apertura alare; non un gigante, quindi, ma richiede una discreta disponibilità di spazio. Le ali si possono montare aperte o ripiegate e il kit include anche il filo per realizzare la controventatura. Le decal sono per due versioni (per scatola) e appaiono ben stampate. Il costo? circa 70 €.

AG 2018